Verdi - Requiem - Karajan 1985

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Description

Giuseppe Verdi - Messa di Requiem - Dir. Karajan 1985 [Eac Ape Cue] [Tntvillage.Scambioetico]

Messa di Requiem

GIUSEPPE VERDI









Giuseppe Verdi

Giuseppe Fortunino Francesco Verdi (Roncole Verdi, 10 ottobre 1813 – Milano, 27 gennaio 1901) è stato un compositore italiano autore di melodrammi che fanno parte del repertorio operistico dei teatri di tutto il mondo.





Giuseppe Verdi nacque nelle campagne della bassa parmense, a Roncole, frazione di Busseto, il 10 ottobre 1813 da Carlo, oste e rivenditore di generi alimentari, e Luigia Uttini, filatrice. Carlo proveniva da una famiglia di agricoltori piacentini (stesse origini della moglie) e, dopo aver messo da parte un po' di denaro, aveva aperto una modesta osteria nella casa di Roncole, la cui conduzione alternava al lavoro dei campi. L'atto di nascita fu redatto in francese, appartenendo in quegli anni Busseto e il suo territorio all'Impero francese creato da Napoleone.
Pur essendo un giovane di umile condizione sociale, riuscì tuttavia a seguire la propria vocazione di compositore grazie alla buona volontà e al desiderio di apprendere dimostrato. L'organista della chiesa di Roncole, Pietro Baistrocchi, lo prese a benvolere e gratuitamente lo indirizzò verso lo studio della musica e alla pratica dell'organo. Più tardi, Antonio Barezzi, un negoziante amante della musica e direttore della locale società filarmonica, convinto che la fiducia nel giovane non fosse mal riposta, divenne suo mecenate e protettore aiutandolo a proseguire gli studi intrapresi.
La prima formazione del futuro compositore avvenne tuttavia sia frequentando la ricca biblioteca della Scuola dei Gesuiti a Busseto, ancora esistente, sia prendendo lezioni da Ferdinando Provesi, maestro dei locali filarmonici, che gli insegnò i principi della composizione musicale e della pratica strumentale. Verdi aveva solo quindici anni quando, nel 1828, una sua sinfonia d'apertura venne eseguita, in luogo di quella di Rossini, nel corso di una rappresentazione di Il barbiere di Siviglia al teatro di Busseto. Nel 1832 si stabilì a Milano, grazie all'aiuto economico di Antonio Barezzi e a una "pensione" elargitagli dal Monte di Pietà di Busseto. A Milano tentò inutilmente di essere ammesso presso il locale prestigioso Conservatorio e fu per diversi anni allievo di Vincenzo Lavigna, maestro concertatore alla Scala. Nel 1836 sposò Margherita Barezzi, ventiduenne figlia del suo benefattore, con la quale due anni più tardi andò a vivere a Milano in una modesta abitazione a Porta Ticinese. Nel 1839 riuscì finalmente, dopo quattro anni di lavoro, a far rappresentare la sua prima opera alla Scala: era l'Oberto, Conte di San Bonifacio, su libretto originale di Antonio Piazza, largamente rivisto e riadattato da Temistocle Solera. L'Oberto era un lavoro di stampo donizettiano, ma alcune sue peculiarità drammatiche piacquero al pubblico tanto che l'opera ebbe un buon successo e quattordici repliche.

Genesi della Messa di Requiem

Dopo il successo di Aida Verdi si ritirò per un lungo periodo dal teatro d'opera.
Non smise tuttavia di comporre e il lavoro più importante di questo periodo è appunto la Messa di Requiem (talvolta definita impropriamente Messa da Requiem o semplicemente Requiem).
In realtà egli pensava da tempo ad una composizione di questo tipo, tanto che nel 1869 aveva organizzato una messa di requiem a più mani per la morte di Gioachino Rossini (nota come Messa per Rossini). Il "Libera me Domine" della messa del 1874 fu composto in quell'occasione.
Verdi rimase molto impressionato dalla morte del compatriota Alessandro Manzoni, avvenuta nel 1873. Manzoni, come Verdi, si era impegnato per l'unità di Italia avvenuta pochi anni prima, e condivideva dunque con lui i valori tipici del Risorgimento, di giustizia e libertà. La sua morte gli fornì dunque l'occasione per realizzare il vecchio progetto, questa volta componendo l'intera messa.
Il requiem, che Verdi offrì alla città di Milano, fu eseguito in occasione del primo anniversario della morte di Manzoni, il 22 maggio 1874, nella Chiesa di San Marco sempre a Milano. Venne diretto dallo stesso Verdi ed i quattro solisti furono Teresa Stolz (soprano), Maria Waldmann (mezzosoprano), Giuseppe Coppini (tenore) e Ormondo Maini (basso). Il successo fu enorme e la fama della composizione superò presto i confini nazionali.
Nel 1875 Verdì operò una revisione al Liber scriptus, sostituendo il fugato del coro con un'aria per mezzosoprano.




Registrazioni storiche

Esistono due incisioni della Messa di Requiem verdiana dirette da Arturo Toscanini:

La prima (live) il 27 maggio 1938 a Londra con la BBC Symphony Orchestra, interpreti: Zinka Milanov (soprano), Kerstin Thorborg (mezzosoprano), Helge Rosvaenge (Tenore), Nicola Moscona (basso);
La seconda (studio) il 27 gennaio 1951 a New York con la NBC Symphony Orchestra, interpreti: Herva Nelli (soprano), Fedora Barbieri (mezzosoprano), Giuseppe Di Stefano (tenore), Cesare Siepi (basso).
















Verdi - Requiem
nella Tr{spam link removed}one e oltre

PIERLUIGI PETROBELLI

La morte di Rossini, avvenuta a Passy nel novembre 1868, superò ben presto la dimensione dell'evento di cronaca e venne ad assumere un carattere emblematico per la musica italiana - e per il paese intero, che proprio in quel momento storico andava faticosamente costruendo una sua identità fisica e spirituale.La nascita del nuovo stato coincideva con un profondo mutamento nel ruolo e nell'importanza del melodramma italiano nel complesso della vita musicale europea. Era stato Rossini, erano stati i suoi trionfi a dare al genere una supremazia incontrastata nei teatri dell'Europa intera. Tutto era avvenuto in poco più di un decennio, e nel momento in cui il compositore di Pesaro concludeva la sua intensissima, eppur breve carriera operistica con il Guillaume Tell (1829), il grand-opéra era — per il melodramma — l'unico temibile concorrente, e nella sola Parigi. Le opere di Bellini, di Donizetti e del giovane Verdi non avevano fatto che rafforzare questo predominio, e sia pure operando in diverse direzioni stilistiche; il predominio era rimasto inalterato anche con la scomparsa in età relativamente giovane di due dei protagonisti, e col rapido decrescere del ritmo produttivo di Verdi dopo i primi anni '50. La fortuna dell'opera italiana si era manifestata anche attraverso il graduale affermarsi di un altro fenomeno: accanto alle "opere nuove" di vita effimera, venivano con sempre maggior frequenza eseguite - tra il 1830 ed il 1860 - opere già da tempo affermate, per lo più create proprio da quei quattro compositori; il successo era determinato soprattutto da valori intrinseci alle partiture, più che dipendere dal virtuosismo vocale degli interpreti che le avevano eseguite la prima volta, e portate in giro; si era insomma venuto formando un "repertorio" fenomeno fino ad allora praticamente sconosciuto nella storia del teatro in musica italiano. L'apprezzamento di valori più specificamente musicali e drammatici veniva a coincidere con un crescendo di interesse da parte del pubblico italiano verso la musica strumentale, anche e soprattutto quella dei romantici tedeschi. A ciò si aggiunse l'inclusione nel "repertorio" non solo dei grand-operas di Meyerbeer — che dopo tutto era stato educato nella tr{spam link removed}one italiana - ma anche di opere di compositori a questa completamente estranei, come Gounod con il suo Faust; e di Wagner si parlava già da molto tempo. Insomma, con la morte di Rossini un capitolo della musica europea si chiudeva definitivamente, e la musica italiana veniva a perdere un preciso punto di riferimento, la figura nella quale identificare in modo indiscusso i valori più genuini dello stile nazionale. Si avvertiva sempre più che quella supremazia incontrastata aveva ormai subito un'incrinatura, e per di più all'interno della tr{spam link removed}one che essa esprimeva. Verdi, che di questo stato di cose era lucidamente cosciente (e l'attività parigina degli anni '60 non aveva fatto che acuire questa presa di coscienza), volle promuovere, alla morte di Rossini e servendosi di Ricordi come portavoce, una solenne celebrazione del maestro scomparso; doveva essere in sostanza un tributo dell'Italia musicale intera al rappresentante più illustre della tr{spam link removed}one nazionale, un estremo saluto dei viventi all'artista che con tanta coerenza e tanta autorità l'aveva imposta nel mondo intero. Il significato autentico di questo tributo, e il modo in cui si sarebbe dovuto attuare è detto con estrema chiarezza nella lettera con la quale Verdi comunica il progetto al suo editore; e val la pena di riportarla per intero:

Sant'Agata 17 novembre 1868
Carissimo Ricordi,
Ad onorare la memoria di Rossini vorrei che i più distinti maestri italiani (Mercadante a capo, e fosse anche per poche battute) componessero una MESSA DA REQUIEM da eseguirsi all'anniversario della sua morte.
Vorrei che non solo i compositori, ma tutti gli artisti esecutori, oltre al prestare l'opera loro, offrissero altresì l'obolo per pagare le spese occorrenti.
Vorrei che nissuna mano straniera, né estranea all'arte, e fosse pur potente quanto si voglia, ci porgesse aiuto. In questo caso io mi ritirerei subito dall'associazione. La Messa dovrebbe essere eseguita nel S. Petronio della città di Bologna che fu la vera patria musicale di Rossini. Questa Messa non dovrebbe essere oggetto né di curiosità, né di speculazione; ma appena eseguita dovrebbe essere suggellata, e posta negli archivi del Liceo Musicale di quella città, da cui non dovrebbe essere levata giammai. Forse potrebbe essere fatta eccezione per gli anniversari di Lui, quando i posteri credessero di celebrarli. Se io fossi nelle buone grazie del Santo Padre, lo pregherei di voler permettere, almeno per questa volta, che le donne prendessero parte all'esecuzione di questa musica, ma non essendolo, converrà trovare persona di me più idonea ad ottenere l'intento.
Sarà bene istituire una Commissione di uomini intelligenti onde regolare l'andamento di quest'esecuzione, e soprattutto per scegliere i compositori, fare la distribuzione dei pezzi, e vegliare sulla forma generale del lavoro. Questa composizione (per quanto possano essere buoni i singoli pezzi) mancherà necessariamente d'unità musicale; ma se difetterà da questo lato, varrà nonostante a dimostrare come in noi tutti sia grande la venerazione per quell'uomo, di cui tutto il mondo piange la perdita. Addio e credimi Aff.o G. VERDI


L'apposita commissione venne costituita, si decise la distribuzione dei pezzi, si scelsero i compositori, e i pezzi vennero scritti, ma ben presto sorsero risentimenti, rivalità, meschinerie di impresari e di esecutori, e l'iniziativa divenne irrealizzabile. Una volta venuta meno la possibilità di realizzare il progetto alla scadenza stabilita, e cioè l'anniversario della morte di Rossini, Verdi stesso insistette perché non se ne facesse nulla; così, dopo tanto progettare, parlare, scrivere e litigare, la musica della Messa a Rossini (come Verdi la chiamò nella sua corrispondenza) rimase — ed è ancora — sepolta negli archivi di Casa Ricordi. Nel piano originale di distribuzione dei movimenti che avrebbero dovuto formare la Messa, a Verdi era toccato l'ultimo, il Libera me, un brano il cui testo contiene frasi ed espressioni già incluse in sezioni precedenti: nell'Introito, "Requiem aeternam dona eis. Domine" - nella Sequenza, "Dies irae, dies illa" - e, all'interno del Responsorio stesso, il versetto iniziale, "Libera me. Domine, de morte aeterna, in die illa tremenda" dev'essere ripetuto alla fine; nello stesso testo liturgico, insomma, si trovava latente la possibilità di uno sviluppo ciclico del materiale musicale lungo l'arco della Messa intera, uno sviluppo che sarebbe stato impossibile nel progetto originario, come del resto lo stesso Verdi era perfettamente cosciente nel momento in cui formulava la sua proposta. Una volta fallito il progetto originario, cioè l'esecuzione in San Petronio nell'anniversario della morte, l'idea non venne subito abbandonata; e fu durante questa fase intermedia — prima della rinuncia definitiva — che Alberto Mazzucato, direttore del Conservatorio di Milano e membro della commissione per la Messa, scrisse a Verdi, il 2 febbraio 1871 una lettera entusiastica, esaltando la bellezza e la forza del suo Libera me ("Voi, mio caro Maestro, avete scritto la pagina più bella, più grande e più colossalmente poetica che immaginar si possa"); a cui due giorni dopo Verdi rispose:

Se alla mia età si potesse ancora decentemente arrossire, arrossirei per gli elogi che mi fate di quel mio pezzo; elogi che. non lo nascondo, venuti da un Maestro e da un critico del valor vostro, hanno un'importanza grandissima ed accarezzano non poco il mio amor proprio. E, vedi ambizione di compositore! - quelle vostre parole avrebbero quasi fatto nascere in me il desiderio di scrivere, più tardi, la Messa per intiero; tanto più che con qualche maggiore sviluppo mi troverei aver già fatti il Requiem ed il Dies irae, di cui è il riepilogo nel Libera già composto. Pensate dunque, e abbiatene rimorso, quali deplorabili conseguenze potrebbero avere quelle vostre lodi! - Ma state tranquillo: è una tentazione che passerà come tante altre. Io non amo le cose inutili. - Messe da morto ve ne sono tante, tante e tante!!! È inutile aggiungerne una di più.



Non ci si deve lasciar ingannare dalle frasi conclusive; sono tipiche dell'epistolario verdiano, e servono soltanto a buttar acqua sul fuoco delle aspettative del mondo musicale e del pubblico in genere. Questa lettera testimonia invece con quale chiarezza Verdi ormai vedeva la possibilità di uno sviluppo organico e coerente del materiale che aveva composto; e prova che — se la stesura della partitura del Requiem avvenne entro un tempo relativamente breve, e che comunque non ebbe inizio prima della tarda primavera 1873 - la gestazione, l'elaborazione concettuale dell'opera, soprattutto la sua concezione ciclica risalgono ad un tempo certamente precedente. Del resto, concepire organicamente e organizzare coerentemente in termini drammatici un'intera partitura è caratteristica distintiva dell'operista Verdi sin dall'epoca del Macbeth e della Luisa Miller. Dalla fine degli anni '40 in poi preoccupazione costante del compositore è quella di creare uno spettacolo drammaticamente unitario attraverso l'impiego e l'articolazione - lungo l'intero suo corso - di alcuni elementi estremamente semplici del linguaggio musicale (singole altezze di suoni, ritmi, timbri isolati di strumenti) che individuano non solo i poli della vicenda drammatica ma servono pure a definirne le tensioni che portano al dénouement finale. Le preoccupazioni per il destino della musica italiana. soprattutto della tr{spam link removed}one nazionale, non si esaurirono certo con il progetto della Messa a Rossini -, è dell'inizio del 1871 la celebre lettera a Florimo nella quale, rifiutando il posto di Direttore del Conservatorio di Napoli, Verdi tracciava una sua idea di curriculum studiorum, nel quale quelli che considerava i "classic

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