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Traffic - John Barleycorn Must Die (Size: 206.09 MB)
Description[font=eurostile]TRAFFIC[/font] [font=eurostile]JOHN BARLEYCORN MUST DIE[/font] [font=eurostile]Titolo: John Barleycorn Must Die Anno: 1970 Genere: Rock Edizione: Originale Formato: Flac - Level 8 Fonte: Cd originale Covers incluse nel Torrent[/font]
[font=eurostile]01. Glad 02. Freedom Rider 03. Empty Pages 04. Stranger To Himself 05. John Barleycorn 06. Every Mother's Son [/font] [font=eurostile]La folgorante, autentica bellezza della folk song che intitola e nobilita quest’album ha sempre messo d’accordo un po’ tutti: trattasi di una di quelle pagine di musica apprezzate da una quota di appassionati che sfiora l’unanimità. Se si hanno poi a disposizione chitarra acustica, capotasto, un minimo di “orecchio” e abilità esecutiva decente, si entra ancor meglio nella meraviglia di questo che è uno dei perfect tunes concepiti dall’uomo: fissata la barretta al settimo tasto, si comincia ad arpeggiare in posizione di RE (che la presenza del capotasto trasforma in LA, giusto?) per poi scivolare alla posizione di DO (in realtà un SOL), di SOL e di LA Minore (rispettivamente elevati a RE e SI Minore). Quando inizia il canto, tra RE e DO di partenza occorre interpolare un’ulteriore posizione di LA minore. La magia è immediata, pure con un’esecuzione incerta è garantito che le facce degli eventuali astanti si illuminino, che conoscano o meno il brano. “John Barleycorn” è il nomignolo dato al whisky, bevanda storica e amatissima nella cultura anglosassone. La sua morte, crudemente descritta nel testo di questa ballata, è necessaria (“Must Die”) ad ogni fine raccolto di grano, nell’antica tr{spam link removed}one contadina britannica, per far sì che possa poi nuovamente germinare e permettere il raccolto dell’anno seguente. Parecchia gente si è cimentata nel recupero di questo traditional che ha le sue radici in chissà quale secolo passato, la versione sicuramente più nota e bella è per acclamazione questa, con Steve Winwood al canto e alla chitarra acustica, Jim Capaldi all’armonizzazione del canto e Chris Wood, colui che ebbe l’idea di recuperarla ed inserirla nel repertorio Traffic, al flauto traverso. C’è comunque pure ben altro in scaletta di cui appassionarsi. Quella che era l’antica “prima facciata” del lavoro si compone di una sequela di tre brani uno meglio dell’altro. ‘Glad’ è un esercizio di stile strumentale, con una figura ritmico/armonica scovata da un ispirato Winwood, il quale incrocia un’assolvenza d’organo a un grumo di accordi jazz blues presi col pianoforte, di classe cristallina. La personalissima voce sorniona del sax di Wood entra poi a riffare alla maniera blues, concludendo con un trillo sul quale tornano a grande richiesta le due tastiere, a giocare più volte lo stesso incrocio. Il ritmo poi si distende per dare sfogo ai solisti e poi riconfluire un’ultima volta sul tema per il finale. “Freedom Rider” è invece un teso mid-tempo in scala minore, introdotto da un ampio, irrisolto riff di Wood sempre al sax, sul quale esce la voce strepitosa di Winwood: faccia angolosa e pelo rosso da irlandese, ma corde vocali degne dei campi di cotone giù nel Missouri. ‘Empty Pages’ esordisce poi con stacchi ritmico/armonici su bordone di basso costante, sui quali indugia l’organo del leader, microfonato ben vicino alla tromba del Leslie per ottenere il massimo dell’oscillazione sonora ed il massimo del godimento per chi ama quest’effetto. La melodia vocale è ampia ed esauriente, l’assolo di piano elettrico competente e piacevolmente jazzato, la voglia di riascoltare gli stacchi d’inizio urgente e più che soddisfatta. Le altre canzoni che seguono, e circondano la già celebrata folk song del whisky, sono meno epocali ed importanti. Bastano e avanzano in ogni caso le quattro citate per rendere questo il capolavoro del gruppo. Come accaduto per altri precoci fuoriclasse del rock, la carriera di Winwood è stata così prematuramente strepitosa da far poi apparire molto insipido tutto il suo proseguo. A diciassette anni aveva già composto e registrato il futuro evergreen ‘Gimme Some Lovin’’ con lo Spencer Davis Group, a diciannove stupiva con ‘Dear Mr. Fantasy’, gemma dell’esordio Traffic. A vent’anni sfoderava una cosa mirabile come “Cant Find My Way Home”, rubando il proscenio ad Eric Clapton nei Blind Faith, ancora ventiduenne infine inanella questa gragnuola di perle jazz/blues/folk/rock, nello strano mix tardo psichedelico tipico dei Traffic, nato e finito con loro. Aiutato per l’occasione, e sorvolando sugli additivi chimici in voga al tempo, solo da un fido batterista e da un bravo fiatista dallo stile sobrio e gigione. Dopo questo momento magico, niente seguirà per lui di nemmeno lontanamente paragonabile, né coi Traffic che d’altronde avranno vita abbastanza breve, né nei successivi e tanti anni da solista. [font=eurostile][size=12pt]Recensione a cura di Pier Paolo Farina[/font] [font=eurostile]Formazione[/font] [font=eurostile]Steve Winwood: Tastiere, chitarre e voce solista[/font] [font=eurostile]Jim Capaldi: Batteria e voce[/font] [font=eurostile]Chriss Wood: Flauto, sassofoni[/font] [font=eurostile]Rick Grech: Basso[/font] Related Torrents
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