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Il cielo è rosso Giuseppe Berto .: Dettagli :. Autore: Giuseppe Berto Titolo: Il cielo è rosso Anno: 1946 Lingua: Ita Genere: romanzo - II guerra mondiale Dimensione del file: Pdf 351 pag Epub 735 pag , 6MB Formato del file: Pdf Epub Mobi Lit Txt Rtf .: Trama :. Il cielo è rosso è un romanzo che penetra nel cuore con un’iniziale stilettata, ma poi la lama affonda, progressivamente, pagina dopo pagina, fino a quando, arrivati all’ultima, ci si accorge che l’intimo dolore e la commozione che prorompono in modo incontenibile danno un senso a tutta l’opera, facendo conoscere al lettore il vero significato della parola pietà. Se Niente di nuovo sul fronte occidentale è il più bel libro contro la guerra, questa opera prima di Berto non è certo inferiore, quasi una parabola dell’uomo impotente di fronte a eventi troppo grandi per lui. E’ un romanzo corale, imperniato su quattro orfani sopravvissuti a un terribile bombardamento della loro città nel corso del secondo conflitto mondiale. Sono niente più che dei ragazzini che all’improvviso devono maturare in fretta per poter sopravvivere in un mondo sconvolto dalle rovine, dall’abbrutimento, dalla fame, dal vuoto che le bombe hanno creato dentro di loro. Tre provengono da un quartiere degradato, popolato da gente povera, o addirittura misera, e perciò sono avvezzi da tempo ad arrangiarsi, a combattere quotidianamente per non soccombere, ricorrendo anche a mezzi non leciti o comunque riprovevoli. L’altro è fuggito dal collegio di preti dove i suoi genitori, benestanti, lo hanno mandato per studiare e per stare lontano dai rischi dei bombardamenti. La differenza di classe diventa quindi un altro spunto di Berto per un’analisi approfondita della stessa, con la trovata, geniale, di praticare un percorso di progressivo avvicinamento. Così l’ingenuo Daniele, posto di fronte alla nuova realtà, cercherà di adeguarsi ai suoi tre amici, i quali, con altrettanta difficoltà, proveranno ad andargli incontro. E’ una storia di miseria e di sentimenti, di illusioni e delusioni, in cui il singolo rifulge in quanto parte del gruppo. Ma è anche una vicenda di sconfitti, di ragazzi che non conosceranno la gioventù gaia e spensierata, troppo occupati a lottare per vivere. Una sola resterà, Carla, la più pragmatica, la non idealista, disposta a fare la prostituta per tirare avanti; eppure anche lei conoscerà la sconfitta, perdendo prima Tullio e poi Daniele, i due ragazzi di cui subisce l’ascendente. In questo quadro crepuscolare, in cui notevole è l’abilità di Berto di descrivere l’abbrutimento degli uomini a seguito della guerra, non si può tacere un personaggio, Giulia, innamorata di Daniele, troppo tardi ricambiata, un’esile figura di dolcezza quasi materna che soccomberà alla tubercolosi (al riguardo il suo funerale notturno, con la sepoltura fra le rovine, è una delle pagine più struggenti che abbia mai letto). Non intendo svelare il finale, com’è giusto per rispetto di chi vorrà leggere questo libro, anche se potrà essere intuito da queste righe tratte appunto dal romanzo. “Compiva ogni gesto rigidamente e con lentezza, spaventato di perdere quel senso di calma che aveva dentro per la gran cosa che gli restava da fare. Ecco che sentiva un gran freddo, perché si era fatto nudo per l’amore degli uomini. Come Gesù e anche altri santi, adesso non ricordava bene chi.” Il cielo è rosso è la storia di vite vissute solo pochi mesi; Il cielo è rosso è un romanzo stupendo. .: Biografia dell'autore :. Giuseppe Berto nacque a Mogliano Veneto, in provincia di Treviso, il 27 dicembre 1914 da Ernesto, maresciallo dei Carabinieri in congedo, e Nerina Peschiutta, sua compagna d'infanzia. Il padre, abbandonata l'arma per amore della moglie, aveva aperto un negozio di cappelli ed ombrelli e, con il suo aiuto, s'improvvisava venditore ambulante nei mercatini dei dintorni. La cappelleria era anche sede della locale ricevitoria del Lotto Regio e delle riunioni di ex Carabinieri organizzate da Ernesto. Nonostante le modeste condizioni economiche della famiglia, il giovane Berto, primo maschio di cinque figli, venne iscritto a frequentare il Ginnasio nel Collegio Salesiano Astori di Mogliano, dove studiò con grande diligenza soffrendo al pensiero dei sacrifici economici sostenuti dalla famiglia per mantenerlo agli studi. Frequentò successivamente il Liceo pubblico a Treviso e lo portò a termine nonostante lo scarso impegno, aiutato dalla fortuna, e da quanto aveva imparato al Ginnasio. Scoraggiato dallo scarso profitto del figlio, il padre lo avvertì che non avrebbe provveduto a mantenerlo all'Università. È questo un episodio emblematico del tormentato rapporto col padre, mai risolto, nodo cruciale della sofferta esperienza personale e letteraria di Berto. Costretto ad arrangiarsi da solo, si arruolò nell'esercito e venne mandato in Sicilia. Ancora militare si iscrisse alla Facoltà di Lettere dell'Università di Padova, perché tra tutte era la meno costosa. Tuttavia fu più attratto dai caffè e dal biliardo che non dalle lezioni di Concetto Marchesi e Manara Valgimigli. Scoppiata nel 1935 la guerra d'Abissinia, Berto partì volontario per l'Africa Orientale, combattendo per quattro anni come sottotenente in un battaglione di truppe di colore, prima di rimanere ferito al piede destro, e, per il suo eroico comportamento in battaglia, fu insignito di una medaglia d'argento e una di bronzo al valor militare; un vero affare, poiché ancor oggi - scriveva egli stesso nel 1965 - riscuotevo il relativo assegno. Il sentimento patriottico contraddistinse l'intera giovinezza di Berto come conseguenza dell'educazione fascista. Non dimentichiamo che aveva fatto parte nel 1929 degli Avanguardisti, successivamente dei Giovani fascisti e dei Gruppi Universitari fascisti, infine era stato capo manipolo della Gioventù Italiana del Littorio. Tornato in Italia nel 1939, cercò di riprendere gli studi in un clima però poco favorevole, a causa dell'imminente scoppio della seconda guerra mondiale nella quale l'Italia entrò nel 1940. Rivestita allora la divisa, terminò gli esami che ancora gli mancavano e si laureò nel 1940 con una tesi in Storia dell'Arte. Sempre nello stesso anno, in autunno, pubblicò sul Gazzettino sera di Venezia in quattro puntate il racconto lungo La colonna Feletti, quasi un reportage su un episodio realmente accadutogli e dedicato alla memoria di quattro compagni coraggiosamente caduti in Africa Orientale. Il racconto, di scadente qualità, rivela però una notevole vocazione narrativa, di tono giornalistico, esso si "distacca dalla letteratura acclamata in quegli anni", come scriverà lo stesso Berto. Ancora in autunno, presentata invano una domanda di volontario, dovette insegnare latino e storia nell'Istituto Magistrale di Treviso e nell'anno successivo italiano e storia nell'Istituto Tecnico per geometri della stessa città. Furono due esperienze dalle quali egli ricavò la persuasione che quello non era il suo mestiere. Abbandonato per sempre l'insegnamento e desideroso di andare in guerra, poiché il Regio Esercito voleva al contrario spedirlo a frequentare un corso di perfezionamento per la promozione a capitano a Parma, preferì arruolarsi nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, chiedendo di essere inviato a combattere in Africa settentrionale. Si ritrovò così nel settembre 1942 nel VI Battaglione Camicie Nere a Misurata. Spedito urgentemente al fronte dopo il disastro di El Alamein, il VI Battaglione partecipò all'affannosa ritirata dalla Cirenaica alla Tunisia affrontando sul Mareth una colossale battaglia e uscendone quasi interamente distrutto, sebbene si fosse battuto con coraggio e valore. Su questa vicenda lo scrittore si atterrà, molti anni dopo per la stesura del volume-diario Guerra in camicia nera (Garzanti, Milano 1955). Berto, addetto al rifornimento viveri se la cavò fuggendo e, fallito un tentativo di rientrare in Italia, venne spedito a rinforzare il X Battaglione Camicie Nere "M", i fedelissimi di Mussolini. Con questa unità, in cui era finito per caso, passò gli ultimi giorni della guerra africana rintanato in una buca per scampare alle cannonate degli inglesi, lottando con i pidocchi e la malinconia, cadendo infine prigioniero il 13 maggio 1943. Intanto tra il '40 e il '42 molte di quelle che fino a quel momento erano state sue grandi certezze (la grandezza della Nazione, la potenza militare italiana, l'unione di tutto il popolo intorno al Duce, una finale onestà del fascismo) cominciarono a vacillare e sempre più forti divennero i dubbi. Trasferito negli Stati Uniti, passando da un campo di concentramento all'altro, finì a Hereford, nel Texas dove ebbe come compagni di prigionia Gaetano Tumiati, Dante Troisi e Alberto Burri che iniziava allora la sua attività di pittore. Questa esperienza fu molto importante perché fece rinascere in lui il desiderio di scrivere, passione inconscia e frustrata della sua giovinezza. Alcuni compagni fondarono una rivista intitolata Argomenti che veniva letta a turno nell'unica copia manoscritta. Nella ricerca di collaboratori, essi si rivolsero anche a Berto, per il solo fatto che risultava laureato in lettere e il Nostro, messo per la prima volta davanti ad un compito di scrittore e non più di giornalista, sbagliò,[non chiaro] ossia elaborò un bel pezzo di prosa ritmica, dannunziana da cima a fondo, dove esaltava la vicenda delle stagioni al suo paese. Sempre nell'ambiente della prigionia entrò in contatto con la letteratura americana: Furore di Steinbeck e qualche racconto di Hemingway. In prigionia, Berto scrisse numerosi racconti, i primi brevi e scherzosi, i successivi sempre più lunghi e impegnati, tre dei quali rielaborati successivamente entrarono a far parte del volume Un po' di successo (Longanesi, Milano, 1963), con i titoli Economia di candele. Gli eucaliptus, Il seme tra le spine. Più importanti i romanzi, anch'essi del '44, Le opere di Dio, il primo scritto da Berto, e soprattutto La perduta gente, di pochi mesi posteriore. Tornato a casa nel febbraio del '46, tentò senza successo di attirare l'attenzione degli editori sui manoscritti che aveva riportato dalla prigionia. La fortuna gli fece incontrare Leo Longanesi il quale fiutò l'affare. Il romanzo (La perduta gente) uscì tra il Natale del '46 e il Capodanno del '47: "soltanto quando lo vide nelle vetrine dei librai Berto seppe che Longanesi l'aveva intitolato Il cielo è rosso, era un titolo bellissimo e astuto, che magari aveva poco a che fare col testo ma restava immediatamente impresso in chi lo vedeva. Berto sa che una parte non piccola del successo del romanzo è dovuta a quel titolo", scriverà lo stesso autore ne L'inconsapevole approccio. Sharing Widget |
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