Giacomo Puccini - La Boheme (FLAC Opera Lirica (Von Karajan, Pavarotti, Freni))

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Giacomo Puccini - La Boheme (FLAC Opera Lirica (Von Karajan, Pavarotti, Freni)) (Size: 494.03 MB)
 01 Act One - Questo mar rosso.flac21.94 MB
 02 Act One - Pensier profondo!.flac5.77 MB
 03 Act One - Legna!.flac18.1 MB
 04 Act One - Si pu.flac24.19 MB
 05 Act One - Io resto.flac4.59 MB
 06 Act One - Chi e la.flac4.64 MB
 07 Act One - Si sente meglio.flac11.33 MB
 08 Act One - Che gelida manina.flac22.39 MB
 09 Act One - Si Mi chiamano Mimi.flac23.49 MB
 10 Act One - O soave fanciulla.flac18.91 MB
 01 Act Three - Ohè là, le guardie! Aprite!.flac14.36 MB
 02 Act Three - Sa dirmi, scusi, qual'è l'osteria.flac3.71 MB
 03 Act Three - Mimì!.flac23.78 MB
 04 Act Three - Marcello. Finalmente!.flac6.41 MB
 05 Act Three - Mimì è una civetta.flac7.07 MB
 06 Act Three - Mimì è tanto malata!.flac16.39 MB
 07 Act Three - Donde lieta uscì al tuo grido.flac13.42 MB
 08 Act Three - Dunque è proprio finita!.flac28.46 MB
 09 Act Four - In un coupé.flac7.78 MB
 10 Act Four - O Mimì, tu più non torni.flac25.68 MB
 Puccini La Boheme.txt3.42 KB

Description

->Cover<-:::
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:::->Dati Album<-:::
Titolo: La Boheme
Anno: Oct 25, 1990
Genere: Opera
Etichetta: London / Decca

1. La Boheme (110:18)
Composer Giacomo Puccini (1858 - 1924)
Conductor Herbert von Karajan
Performer Mirella Freni (Soprano - Mimì)
Luciano Pavarotti (Tenor - Rodolfo)
Elizabeth Harwood (Soprano - Musetta)
Rolando Panerai (Baritone - Marcello)
Gianni Maffeo (Baritone - Schaunard)
Nicolai Ghiaurov (Bass - Colline)
Michel Senechal (Tenor - Benoit)
Gernot Pietsch (Tenor - Parpignol)
Hans-Dietrich Pohl (Baritone - Customs Officer)
Hans-Dieter Appelt (Bass - Customs Sergeant)
Genre Opera / Romantic Period
Date Written 1896
Ensemble Berlin Philharmonic Orchestra
Period Romantic
Language Italian
Country Italy
Recording Studio


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:::->Tracklist<-:::

Disc 1

01. Giacomo Puccini - [La Boheme #01] Questo mar rosso [4:31]
02. Giacomo Puccini - [La Boheme #02] Pensier profondo! [1:17]
03. Giacomo Puccini - [La Boheme #03] Legna! [3:44]
04. Giacomo Puccini - [La Boheme #04] Si pu [5:18]
05. Giacomo Puccini - [La Boheme #05] Io resto [1:08]
06. Giacomo Puccini - [La Boheme #06] Chi e la [1:10]
07. Giacomo Puccini - [La Boheme #07] Si sente meglio [2:42]
08. Giacomo Puccini - [La Boheme #08] Che gelida manina [4:38]
09. Giacomo Puccini - [La Boheme #09] Si Mi chiamano Mimi [5:59]
10. Giacomo Puccini - [La Boheme #10] O soave fanciulla [4:21]
11. Giacomo Puccini - [La Boheme #11] Aranci, ninnoli! Caldi i marroni e caramelle! [2:52]
12. Giacomo Puccini - [La Boheme #12] Chi guardi [3:08]
13. Giacomo Puccini - [La Boheme #13] Viva Parpignol! Parpignol! Parpignol! [2:21]
14. Giacomo Puccini - [La Boheme #14] Oh! Essa! Musetta! [3:30]
15. Giacomo Puccini - [La Boheme #15] Quando men vo [5:21]
16. Giacomo Puccini - [La Boheme #16] Chi l\'ha richiesto [2:27]

Disc 2

17. Giacomo Puccini - [La Boheme #01] Ohè là, le guardie! Aprite! [4:19]
18. Giacomo Puccini - [La Boheme #02] Sa dirmi, scusi, qual\'è l\'osteria [1:01]
19. Giacomo Puccini - [La Boheme #03] Mimì! [5:05]
20. Giacomo Puccini - [La Boheme #04] Marcello. Finalmente! [1:17]
21. Giacomo Puccini - [La Boheme #05] Mimì è una civetta [1:26]
22. Giacomo Puccini - [La Boheme #06] Mimì è tanto malata! [3:21]
23. Giacomo Puccini - [La Boheme #07] Donde lieta uscì al tuo grido [3:22]
24. Giacomo Puccini - [La Boheme #08] Dunque è proprio finita! [6:16]
25. Giacomo Puccini - [La Boheme #09] In un coupé [1:44]
26. Giacomo Puccini - [La Boheme #10] O Mimì, tu più non torni [5:27]
27. Giacomo Puccini - [La Boheme #11] Si sgombrino le sale! [1:39]
28. Giacomo Puccini - [La Boheme #12] C\'è Mimì . . . c\'è Mimì che mi segue [6:08]
29. Giacomo Puccini - [La Boheme #13] Vecchia zimarra, senti [2:31]
30. Giacomo Puccini - [La Boheme #14] Sono andati Fingevo di dormire [5:58]
31. Giacomo Puccini - [La Boheme #15] Che avvien [6:01]...

:::->Recensione<-:::



Bohème, La di Giacomo Puccini (1858-1924)
libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, dal romanzo Scènes de la vie de Bohème di Henri Murger

Scene liriche in quattro quadri

Prima:
Torino, Teatro Regio, 1º febbraio 1896

Personaggi:
Mimì (S); Musetta (S); Rodolfo, poeta (T); Marcello, pittore (Bar); Schaunard, musicista (Bar); Colline, filosofo (; Parpignol, venditore ambulante (T); Benoît, padrone di casa (; Alcindoro, consigliere di stato (; il sergente dei doganieri (; studenti, sartine, borghesi, bottegai e bottegaie, venditori ambulanti, soldati, camerieri da caffè, ragazzi e ragazze



Liberatosi dai diritti d’autore il fortunato e popolare romanzone di Murger apparso a puntate su ‘Le Corsaire’ dal 1845 al 1848 e ridotto in seguito (1849) anche per le scene con la collaborazione di Théodore Barrière, furono in due a pensare di trarne un’opera: Leoncavallo ci pensò per primo, ma la prima a essere rappresentata fu quella di Puccini, che condannò presto al dimenticatoio la fatica dell’autore di Pagliacci. Fu polemica continua non solo fra i due, ma anche fra le rispettive case editrici, Sonzogno e Ricordi, e tra ‘Il Secolo’ e il ‘Corriere della Sera’. Dal romanzo francese, attivato anche secondo percezione scapigliata, Illica prevede un libretto in quattro atti e cinque scene, mentre nella stesura definitiva l’opera sarà in quattro quadri, con la soppressione della scena di festa ambientata nel cortile della casa di via Labruyère, che avrebbe dato largo spazio a Musetta e che sarà il secondo atto dell’opera di Leoncavallo. ‘La soffitta’, prima scena del primo atto nel progetto di Illica, diventa primo quadro (con sostituzione dell’articolo con preposizione: ‘In soffitta’); ‘Il Quartiere Latino’, seconda scena, diventa secondo quadro (con sostituzione dell’articolo ‘Il’ con la preposizione ‘Al’); l’atto secondo, ‘La barriera d’Enfer’, diventa terzo quadro; l’atto terzo, quello del cortile, s’è detto, è soppresso; l’atto quarto, ‘La soffitta’ o ‘La morte di Mimì’ diventa quarto quadro, ‘In soffitta’, guadagnando così circolarità spaziale all’opera. Questa mutazione dell’impostazione drammaturgica generale è consistentissimo specimen dell’azione di Puccini nei confronti dei librettisti, già evidente con Manon Lescaut , dopo le primitive e deludenti esperienze di Villi ed Edgar . Illica se ne risente non poco, dato che stavolta è l’artefice, e anche Giacosa, chiamato a lavorare di cesello sul testo, dispera a un certo punto che Puccini possa mai essere accontentato. Nella forma generale, l’articolazione è quella preferita da Puccini: presentazione dell’ambiente e dei personaggi; duetto d’amore a ridosso dell’inizio (come sarà palese in Tosca e Madama Butterfly ); svolgimento drammatico, stavolta con una miscela inaudita tra la spensieratezza bohémienne e la tragedia che cova nel petto innocente della protagonista. Ma le protagoniste, benché con spazi di tanta diversa ampiezza testuale, stavolta sono due, perché Musetta, civettuola e leggera, è una Mimì più avanti nell’esperienza della vita, o meglio l’altro aspetto della femminilità di cui l’opera vuol rappresentare, secondo intenzione dei librettisti esposta in didascalia, citando da Murger, l’Ideale (così Mimì, che nel libretto fonde due diversi personaggi di Murger, Mimì appunto e Francine, è agnizione di sognato femminino per lo stupito Rodolfo, esclamante sull’inizio: «Alzandosi: una donna!», come di fronte a una rivelazione di generale femminilità che gli interpreti di Puccini hanno ben messo a fuoco).

Atto primo . Il freddo e Parigi sono il fondale di verità della Bohème . Tutta l’opera si svolge nell’attesa che Parigi resti tale senza più il freddo che, da reale, si assume presto a metafora dell’esistenza. Il dialogo iniziale tra Marcello e Rodolfo (“Nei cieli bigi”) sottintende tutto il consueto conflitto di arte e realtà, nella verifica del classico carmina non dant panem ; in questo dialogo incombe il fondale: la città sotto la neve e fumante in mille comignoli, che Rodolfo guarda dall’alto della soffitta, mentre impreca contro il non funzionante, perché non alimentato né dalla sua né da altre arti, caminetto (nel quale sarà da scorgere per simbolo la ricerca del quasi pascoliano nido di quiete che percorre intera tutta la storia di Puccini come autore: la casetta rammentata da Tosca al suo Mario, il nido profanato di Butterfly, quello invaso dai Proci buoni di Minnie, di Frugola nel Tabarro – all’ombra sentimentale di un’altra Parigi, dove tuttavia un venditore di canzonette cita ‘la canzone di Mimì’ – di Ping, Pang e Pong alla corte di Turandot). Anche la stagione dell’amore, benché si sia in gioventù ( Bohème è una tragedia della giovinezza), è fredda in questa Parigi 1830, come Marcello dice: «Ho diacciate / le dita quasi ancora le tenessi immollate / giù in quella gran ghiacciaia che è il cuore di Musetta» (i verbi d’esordio di Marcello erano stati «ammollisce e assidera», qui replicati in «immollate» e «ghiacciaia», per dire minimamente del cesello librettistico); ma ci vuol più ad alimentare un cuore che un caminetto; Rodolfo e Marcello sono d’accordo che «L’amore è un caminetto che sciupa troppo... e in fretta!». Il cinismo di Marcello perdurerà, quello di Rodolfo si scioglierà presto: intanto bruciano quel che trovano nell’esperienza loro (rapidamente l’orchestra accompagna la carta che si disfà in cenere in un «lieto baglior» breve breve, con l’orchestra che cade appresso dall’alto in basso; il fuoco si riprende, con l’orchestra detta dai fiati, poi da un pizzicato d’archi, all’aggiunta di uno scartafaccio più consistente, presto consumato anche questo; il tema rallentato dagli archi fino a morire è il fuoco stesso che si spegne: dunque l’autore è stato di poca consistenza. Nell’orchestra che segue il piroettare delle fiamme sarà da vedersi non soltanto un gusto mimetico, ma il segno del particolare realismo di Puccini, bilanciato fra impressione ed espressione). È la vigilia di Natale e questa gioventù che brucia ha molta fame. Ed ecco all’improvviso comparire legna, sigari e vino: Schaunard ha trovato modo di raccattare le monete mai viste nella povertà e i vettovagliamenti sognati: ma sono destinati al futuro, non si può stare in casa nella vigilia del giorno di festa. Parigi, a chi se l’immagina senza esserci stato, come allora Puccini, che quando la vedrà ne resterà deluso, è tutti i suoi monumenti, ma è soprattutto un posto non monumentale. Parigi è il Quartiere Latino, dove si presume di mangiar bene e a poco, che è quel che tutti cercano. E non c’è affitto da pagare che tenga: si può ben essere cinici con un padrone di casa, Benoît, che alla sua età è un vecchio sporcaccione; al Mabil, l’altra sera, s’è fatto cogliere in peccato d’amore con una donna di una certa consistenza, ma giusta per lui che detesta le magre; donde il ricatto: o rassegnarsi a che si spifferi tutto alla di lui moglie o rinunciare all’affitto. È costretto a rinunciare con una «dolce violenza», come recita la didascalia di Schaunard mentre sull’inizio lo costringe a sedere. Mentre Schaunard, Colline e Marcello vanno al Quartiere Latino, Rodolfo, che deve terminare l’articolo di fondo del ‘Castoro’, resta in casa. Mestierante com’è pensa di sbrigarsela in fretta, scrive ma accartoccia e getta via, accorgendosi presto di non essere in vena. Mentre sta lì, bussano alla porta. È Mimì, la dirimpettaia, che non sa più come accendere il lume che le si è spento, e che, in aggiunta, subito sviene, suscitando le preoccupazioni di Rodolfo, che le offre un po’ di quel vino col quale ha da poco brindato con gli amici, facendo ben inciuccare Benoît. «Poco, poco» dice Mimì, che già si sente meglio, ma intanto ha perso la chiave di casa. Si mette a cercarla con Rodolfo, che la trova e la nasconde perché vuol stare con Mimì: un po’ per il buio, un po’ perché così gli piace, le struscia la mano e le dice com’è fredda, corteggiandola; anzi, visto che ci si trova, le racconta in breve la sua storia: di un poeta che vive con poco (“Che gelida manina”), in lieta povertà. Mimì si mette sulla stessa corda e gli racconta di essere una che ricama, a cui piacciono i fiori, che prega ma non va sempre a messa: e dice di aspettare lo «sgelo», per inebriarsi del primo sole di aprile (“Sì, mi chiamano Mimì”). Insomma si innamorano sotto la sigla di questo ‘sgelo’ anticipato dal cuore, che è come il motore nascosto ma di cui si sente il rombo in Bohème (“O soave fanciulla”). Vanno anche loro al Quartiere Latino, al caffè Momus, benché Rodolfo abbia fatto capire, con sbrigativa e tuttavia galante esplicitezza, che sarebbe stato meglio restare nel caldo improvviso di quella soffitta, dovuto non solo e non proprio alle fascine procurate da Schaunard.

Atto secondo . C’è festa e c’è folla al Quartiere Latino, ci sono venditori e negozi; così, mentre per conto loro gli amici vanno alla ricerca di un posto dove mangiare, possibilmente un tavolino da Momus, Rodolfo regala a Mimì una cuffietta rosa, che le sta così bene visto com’è bruna. Colline, intanto, s’è comprato una zimarra rattoppata ma dignitosa. L’altra coppia di Bohème è travagliata, più spine che rose. Marcello e Musetta, allegra donnetta, hanno litigato, ma, suscitando e per suscitare la rabbia di Marcello, lei riappare in disinvolto fulgore, annunciandosi con un valzerino che fa impazzire in un altro modo da Marcello l’attuale cavalier servente (“Quando me n’vo’”). Musetta fa di cognome Tentazione nella descrizione da rapace che ne fa Marcello, fa per vocazione «la Rosa dei Venti» e d’ordinario si ciba di cuori. Intanto Musetta celebra le proprie lodi, che appaiono al cavalier servente Alcindoro, nientemeno che un consigliere di stato, un «canto scurrile»: dunque Musetta è cantante, canta proprio nella realtà della scena, non soltanto nella scena d’opera, e come una diva mette letteralmente ai suoi piedi Alcindoro (dice di un dolore e di un bruciore e al «dove?» di Alcindoro, che già «si china per slacciare la scarpa a Musetta», risponde «al pie’», «mostrando il piede con civetteria», vezzoso finale di un monologo vanitosissimo che immette in una scena di piena coralità per dar esito al molto corale secondo quadro dell’opera, che s’esaurisce al declinare della vigilia del dì di festa in una malinconiosa lontananza di tamburi). Mentre Alcindoro va a procurare un altro paio di scarpe per far star comoda Musetta, Marcello, irresistibilmente riconquistato, se la porta via in braccio. Il consigliere di stato riappare con un cartoccio racchiudente le calzature, in una scena tenera e ironica, non per lui: addossandosi ruolo, costi quel che costi, di cagnolino pronto ai piedini vezzosi della sua padrona. E, alla presentazione del conto che gli è stato lasciato dall’allegra brigata, non sa più cosa dire.

Terminato questo blocco di sostanziosa unità spazio-temporale, la narrazione di Bohème fa un salto. Per l’intanto è comunque da notare come la coerenza della narrazione abbia udibile riscontro nello svolgimento musicale. Se alla ricchezza melodica s’era voluta spesso contrapporre da taluni una relativa parsimonia tematica, bisogna dire che l’oculatezza di Puccini nello sfoderare temi su temi ha una sua propria necessità di tessitura narrativa, con riprese ed espansioni calibrate, luminosamente procurate, costituenti la quarta dimensione del libretto. Per dire che la riuscita di Bohème sta nell’assoluta adeguatezza e interdipendenza di parole, situazione drammatica e musica. Per il libretto strettamente inteso, ne va riconosciuta la notevole consistenza drammaturgica: per quanto contrastato, il lavoro svolto da Illica e Giacosa sotto le non flessibili direttive di Puccini è riuscito nell’impresa di una delle opere più felici dell’intero repertorio, e il tempo ha mostrato la consistenza di quel valore, degno della musica che lo porta. Alla quale musica, per buona parte ma non per l’integrità dell’opera, arrise subito successo, anche se poi il giudizio complessivo volle vedere un regresso rispetto a Manon e al suo presunto sinfonismo. In Bohème anche la discussa questione del nodo di naturalismo, verismo e decadentismo in Puccini è affare ingarbugliato. Si direbbe che questa musica ‘tiene’, in senso anche, se non esclusivamente, tecnico e retorico, a una dolcezza che diventa fatto orchestrale, ovvero lirismo delle piccole cose di un piccolo mondo che si immagina come compiuto universo, in sé conchiuso. Una tr{spam link removed}one molto italiana, da paese del melodramma, ma non a caso trapiantata in ambiente di Francia, tra finezza e geometria; non olî, non acquerelli: l’orchestra di Bohème colora e contorna col pastello e talvolta con la disinvoltura di un artigiano dei gessetti, o del carboncino; ma di quell’artigianato sa sempre fare un’arte per intensità della mano. Come quest’arte somigli tant

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