[DivX-Ita-Swe Mp3] Persona (1966, Bergman)

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Description





Persona

di Ingmar Bergman - 1966



Rating IMDB: 8.1/10

Un film di Ingmar Bergman. Con Bibi Andersson, Liv Ullmann, Gunnar Björnstrand, Margaretha Krook. Genere Drammatico, b/n 86 minuti. - Produzione Svezia 1966.



La trama: Due personaggi nella rarefatta cornice di una camera di ospedale e di una spiaggia deserta. Rapporto vampiresco tra un'attrice malata, murata in un mutismo ossessivo, e la sua infermiera che, paziente, aspetta. Stilisticamente è l'opera più sperimentale di Bergman i cui temi tipici (angoscia davanti alla violenza, egoismo, paura della morte e della procreazione) sono calati in un pessimismo radicale. Insieme con Sussurri e grida (1973) Bergman lo considera il suo film più avanzato.

-> link alla scheda su wikipedia



Recensione - Tullio Kezich (Il Corriere della Sera)

Ingmar Bergman è entrato in una zona dove diventa sempre più impervio seguirlo. Ai tempi di Il volto si poteva considerarlo un esoterico con tendenze alla prestidigitazione, nel suo mestiere c’è ancora un ampio margine per il divertimento; e in Luci d’inverno si respirava, rinnegato e contraddetto, un residuo di speranza trascendente. Persona è svolto come un teorema scientifico che a un certo punto si trasforma nell’operazione senza anestesia svolta in pubblico da un grande chirurgo. C’è una donna, un’attrice, che si rifiuta di parlare; e c’è la sua infermiera; esistono, taciute o gridate, le ferite che la vita ha inferto alle due donne; e al limite della realtà e dell’incoscienza scatta nella coppia una forma di attrazione morbosa. Ci accorgiamo infine che una donna continua nell’altra, che sono i due aspetti di una stessa persona; che i torturati sono anche i torturatori e viceversa; che non si sfugge alle responsabilità dell’individuo e della storia se non accettando il niente come grado zero della morale. «Nulla» è la prima parola che l’infermiera suggerisce alla malata per riprendere a parlare; e si ripensa a quella folgorante chiusa di un racconto di Hemingway («O Nada nostro che sei nel Nada...») solo che qui siamo nel mondo dopo Hiroshima, Bergman scatena le sue nevrosi in una rappresentazione che tende a eliminare scenografie e artifici per concentrarsi sull’individuo; muove le donne, Bibi Andersson e Liv Ullmann, come un diabolico dominatore; e alla fine, sull’onda del film, ci propone l’enigma se il regista ne sia l’orditore o la vittima.

Da Tullio Kezich, Il Mille film. Dieci anni al cinema 1967-1977, Edizioni Il Formichiere







Recensione - Filippo Sacchi (Il Corriere della Sera), 29 gennaio 1967

Ecco un altro fiore che esce dalle scelte e rinomate serre di Ingmar Bergman. Sono prodotti rari, frutto di pazienti ibernazioni nelle gelose incubatrici della fantasia, e di alambiccati selezionatissimi incroci, per cui la loro specialità è di non essere riproducibili in serie, sì che quando anche uno crede, studiandoci, di essersi impossessato della ricetta e la prova sul suo, si accorge che cambiando terreno, e senza la mano magica del giardiniere, la semente si è voltata, e il fiore è venuto fuori bastardo.

Già lo stesso titolo, Persona, è quel genere di titolo che mai sopporteremmo da altri che da lui. Persona è detto in latino il personaggio di teatro (Dramatis personae), e quindi, per estensione, la maschera, comica o tragica, che l’attore si poneva entrando in scena, e che aveva il doppio ufficio di amplificare la voce perché più facilmente arrivasse anche agli spettatori più lontani, e insieme di caratterizzarne il personaggio. È appunto un volto di attrice, un volto che emergendo da un convulso e lampeggiante mitragliar di immagini, quasi cinematografici ideogrammi, si fissa in una maschera di donna, ad aprire il racconto: tragica maschera a cui la fissità irrigidita della modellatura, la pupilla vuota, la luce fumosa e lambente quasi di tripode, danno una arcaica solennità evocatoria.

Sappiamo subito dopo che ci troviamo in un teatro di posa dove una attrice famosa, Elisabeth Vogler, sta interpretando Elettra. Cos’è accaduto di colpo? Simbolicamente illustrato dal bagliore di un rotolo di pellicola che si infiamma, qualcosa si ~ istantaneamente bruciato e incenerito in lei. Elisabeth si arresta: immobile come una statua, da quel momento non farà più un gesto né proferirà più parola. Rigida, inerte, fissa in un automatismo trasognato e senza espressione, essa è condotta in una clinica dove una giovane infermiera, Alma, una seria, spontanea, deliziosa creatura, la prende in consegna, perché, guadagnandosene la confidenza, cerchi l’impercettibile appiglio che permetta ancora di aprirsi una via in quell’anima sprofondata nel nulla, e di carpirne il segreto.

Il film è la storia di questo lento approccio, di questo psichico assedio che Alma, la quale a un certo momento è mandata a isolarsi con la sua paziente in una romita casetta sul mare, tenta di agganciare l’interesse di Elisabeth, di strapparle la prima parola. E per provocare la confidenza usa naturalmente l’unica tattica che quel mostruoso mutismo le permette: si confida. Le parla di sé, della sua vita, dei suoi progetti, delle sue fantasie, e a mano a mano, senza accorgersene, donnescamente discende a ordini di sentimenti sempre più intimi, scivola nella punta maliziosa, nella confidenza erotica, si ingolfa sempre più nervosamente in questo assurdo dialogo dove non c’è mai risposta. Ed ecco, nel gioco, lentamente le parti si capovolgono. A poco a poco è il silenzio dell’altra che diventa sempre più forte, è il suo rifiuto a parlare che intimidisce, incombe, isola l’interlocutrice senza difesa. A un certo punto, Alma da assediante si trova assediata. E quando scopre che Elizabeth, nel suo istrionismo di psicopatica, fa con lei un doppio gioco, che cioè mentre sembra abbandonarsi sino ai confini morbosi di quella amicizia, in realtà ne resta all’interno freddamente staccata, e che le confessioni e gli slanci nei quali essa mette l’anima, sono per l’altra oggetto di divertita curiosità, tutto in Alma crolla. Sarà lei a pentirsene ora, delirante, ferita, ottenebrata nel suo giovane cuore, per sempre.

Siamo nel solito mondo di Bergman, quel mondo così affascinante e sconcertante, fatto di immensa intelligenza istrionica, di psicologico delirio e di spirituale bluff. (Solo devo dire che ho trovato francamente deludente nel suo manierismo freudiano, quando arriva alla fine, lo schema del caso psicanalitico: la spinta odio-amore tra il ragazzo fisicamente sgraziato che adora la madre, e la madre che invincibilmente prova ripulsa per lui). Ma dal punto di vista cinematografico Persona è un autentico prodigio, un record di bravura mai visto, qualcosa (per dire) come potrebbe essere un esercizio ai trapezi a cento metri di altezza con sestuplo salto mortale, cioè fuori di ogni fisica verosimiglianza. È un film in cui praticamene c’è solo Bibi Andersson che parla per un’ora e mezza. Eppure è un film che non lascerete un minuto solo con l’occhio: un film tutto immagine, un visivo fluire nel quale mare, fiori, scogliere, lucidi interni, visi di donna, nuvole, cieli scorrono sul filo di quella voce dolce, limpida, uguale, in cui solo a poco a poco si avvertirà l’incrinarsi di un vago disagio, di un’ansia segreta, di un dubbio, sinché, sempre più premendo, salendo, incupendosi, romperà in quel glaciale, terribile “Nulla” in cui, per la prima volta e per l’ultima, le due disperazioni si parleranno. Bibi Andersson è grandissima di ispirazione e semplicità (e fu giusto mettere accanto al suo anche il nome dell’artista che la doppiò per noi, Anna di Meo), e Liv Ullman nel suo mutismo, stupenda.

Beate queste cinematografie ancora vive, fatte di ricerca e di intelligenza, che possono permettersi il lusso di mettere come attrici, nei loro film, delle anime.





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[ Info sul file ]

Nome: Persona (1966, Bergman) DivX, Ita-Swe Mp3, by BTMN.avi

Data: 8/12/2007 20:27:17

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